Il Saxofono nell’orchestra sinfonica di MASSIMILIANO DONNINELLI
![]() |
Il Saxofono nell’orchestra sinfonica di MASSIMILIANO DONNINELLI https://ainsiparlaitlart.blogspot.com |
Il Saxofono nell’orchestra sinfonica
di MASSIMILIANO DONNINELLI
https://www.massimilianodonninelli.com/
Il Saxofono, è uno di quegli strumenti che non appare regolarmente nell’orchestra sinfonica e di cui in genere se ne richiede sporadicamente la sua presenza. In generale non viene considerato uno strumento appartenente all’orchestra sinfonica, ma piuttosto uno strumento inusuale e che in taluni casi viene richiesto, in via eccezionale da talune partiture, di cui alcune ben note che vedremo successivamente. Quanto illustrato poc’anzi è un ritratto del pensiero comune, diffuso ampiamente e forse radicato nella cultura generale. Sicuramente il saxofono non è frequentemente utilizzato nell’orchestra sinfonica, ma è doveroso considerare molti aspetti che possono in realtà dare una visione diversa del saxofono come strumento d’orchestra. Abitualmente non ci si chiede più perché l’orchestra sinfonica sia composta in questa maniera, ma andando a considerare le ragioni per le quali nei secoli l’orchestra è andata conformandosi nell’organico abituale e diffuso mondialmente, si possono vedere molti aspetti dell’evoluzione dell’uso di certi strumenti, piuttosto che altri, così come del saxofono in orchestra. L’orchestra sinfonica essa stessa è uno strumento musicale e non è esonerata dall’evoluzione naturale che qualsiasi strumento ha avuto e che continua ad avere nel tempo, in funzione di vari fattori, sia strettamente musicali che di ordine tecnico-esecutivo. Ad oggi l’orchestra sinfonica si basa sull’organico, così detto mozartiano o orchestra classica, dove abbiamo i fiati a due (2fl, 2ob, 2cl, 2fg, 2cor), timpano e il quintetto d’archi che in genere è sull’ordine di 10-8-6-4-2, con ampia possibilità di modificare il numero degli strumentisti ad arco e di inserire ulteriori strumenti a fiato e percussioni. Evidentemente è soltanto un punto di riferimento di massima, in quanto già in Mozart stesso come in Haydn e Beethoven, ossia i tre grandi rappresentanti dello stile classico, stile e periodo storico dell’estetica della musica dove si pongono le basi dell’orchestra moderna, le varianti sono molteplici. Alla luce di questo quadro storico, va evidenziato che il saxofono è in assoluto l’ultimo strumento acustico che sia stato inventato e che abbia avuto uno sviluppo tecnico e musicale, precisazione quest’ultima necessaria, in quanto successivamente sono stati creati altri strumenti acustici, strumenti che però non hanno avuto alcun tipo di sviluppo restando soltanto degli esperimenti. Cosa ha permesso quindi al saxofono di diffondersi ed evolversi? Le ragioni della sua fortuna sono diverse. Innanzitutto nasce sulla spinta di un’esigenza fortemente sentita da molti paesi e regioni dell’Europa di quell’epoca, cioè ingrandire le orchestre di fiati e in particolar modo le bande militari, che avevano un ruolo determinante nella conformazione degli eserciti. Molti costruttori di strumenti musicali cercarono di dare risposta a questa esigenza, ma l’invenzione di Adolphe Sax si dimostrò la più efficace. Secondariamente, lo stesso inventore si fece ampiamente carico della diffusione di questo strumento, presentandolo personalmente ai compositori dell’epoca. Adolphe Sax quindi oltre ad esserne stato l’inventore, divenne il primo saxofonista della storia, sembra infatti dalle cronache dell’epoca che avesse sviluppato eccellenti qualità tecniche. L’entusiasmo di Monsieur Sax, ben noto nell’ambiente dei costruttori di strumenti musicali, considerato l’eccezionale numero di brevetti che depositò durante l’arco di tutta la sua attività, diede una grande visibilità anche internazionale al saxofono a partire da una città come Parigi, dove a metà ottocento risiedevano molti dei grandi compositori dell’epoca. Altro motivo del successo del saxofono è rappresentato sicuramente dal rapido sviluppo delle tecnologie e dei mezzi di lavorazione, che sulla spinta della Rivoluzione Industriale, diedero la possibilità alla ditta Sax di mettere a punto le tecniche più adeguate per la costruzione del saxofono e a priori, alle nuove tecnologie va in parte il merito di aver creato le condizioni per la sua stessa invenzione. Altri fattori contribuiscono alla diffusione del saxofono, taluni dei quali di carattere storico generale, ma certamente l’impegno e l’entusiasmo di Adolphe Sax sono stati determinanti. Il 92enne Jean-Marie Londeix, luminare del saxofono classico, grande concertista e didatta, afferma che il destino di uno strumento dipende strettamente dal repertorio che viene scritto specificatamente o destinato indirettamente allo stesso. Il valore delle composizioni e complice la notorietà del compositore possono ampiamente fare la fortuna di uno strumento musicale, a prescindere dall’epoca a cui facciamo riferimento, tenuto conto come il legame tra repertorio e strumento sia un’equazione che va ben al di là delle epoche. Fortunatamente il tempo fa emergere in maniera pressoché oggettiva il valore di una composizione musicale a prescindere dal prestigio riconosciuto o meno del compositore, e ulteriore fattore a vantaggio di un nuovo strumento è quello di poter disporre di un repertorio che la storia stessa rende libero dalle considerazioni e dai giudizi confinati in un momento specifico della Storia della Musica.
Il repertorio per saxofono, nelle varie declinazioni solistiche, orchestrali e cameristiche, è inevitabilmente legato al ‘900, pur avendo a disposizione alcune composizioni di valore del tardo ‘800. Il periodo di tempo necessario alla diffusione del saxofono tra i compositori e nel mondo della musica classica in genere, ha fatto sì che una generazione non l’ha potuto conoscere o quanto meno non ha avuto culturalmente il tempo di prendere confidenza con il nuovo strumento. Il caso di Hector Berlioz è emblematico, il compositore pur avendolo conosciuto e apprezzato, userà il saxofono soltanto nella trascrizione e arrangiamento del suo “Chant Sacré”, intitolato in questa nuova versione “Hymne Sacré”, dove usa un saxofono baritono. Berlioz comunque fu un entusiasta promotore del saxofono continuando a parlarne nel Journal des Débats, probabilmente in virtù anche dell’amicizia e stima reciproca che si era creata con Monsieur Sax. I risultati non tardano ad arrivare, Adolphe Sax viene invitato al Conservatorio di Parigi a presentare la sua creazione alla presenza di Daniel-François Auber, Fromental Halévy e numerosi altri giovani compositori e strumentisti. Si interessano al nuovo strumento Giacomo Meyerbeer, Gaspare Spontini, Georges Kastner, Gioachino Rossini, Abraham Louis Niedermeyer, Charles Gounod e lo stesso Giuseppe Verdi per incarico della direzione dell’Opéra di Parigi, rielaborò nel 1847 l’opera I Lombardi alla prima Crociata del 1843, che nella nuova veste di grand opéra, prenderà il titolo di Jerusalem, utilizzando i saxhorn (strumento diverso dal saxofono ma coevo e sempre di invenzione della ditta Sax) che lo stesso inventore diresse in scena. Georges Kastner inserisce per la prima volta il saxofono basso in orchestra, nel suo Oratorio Le Dernier Roi de Juda. Estimatore ed amico di Adolphe Sax, Kastner inserirà il nuovo strumento in altri suoi lavori. Negli anni successivi utilizzarono lo strumento anche Fromental Halévy in Le Juif Errant (1852), Giacomo Mayerbeer in L’Africaine (1865), Camille Saint-Saëns in Les Noces de Promèthèe (1867), La Jeunesse de Hercule (1877) e in Henry VIII (1883), Amboroise Thomas ne l’Hamlet (1868) e Françoise de Rimini (1882), Georges Bizet ne l’Arlésienne (1872), Léo Delibes nel balletto Sylvia (1876), Jules Massenet in La Vierge (1880), Scènes Hongroises (1870), Scènes de Féérie (1881), Hérodiade (1882) e nel Werther (1893), Gabriel Fauré nel Prométhée (1899-1900) e Chant Funéraire (1921), Isaac Albéniz in El Albaicín (1905-1909) dalla suite Iberia nella trascrizione per orchestra di Enrique Fernandez Arbòs (1927), Vincent d’Indy in Les Burgraves du Rhin (1872) e nei Poèmes des Rivages (1919-1921).
Appare il saxofono anche nei lavori orchestrali di Louis Moreau Gottschalck, François Bazin, Emile Paladilhe, William Henry Fry, Fredric Cowen, Edward German. César Franck, nell’opera lirica Hulda (1882-1885) utilizza un quartetto di saxofoni, Vincent D’Indy impiegò sempre un quartetto in Fervaal (1895), lo stesso compositore fece anche uso di un sestetto di saxofoni nella Légende de Saint-Christophe (1908-1915). Gustave Charpentier nella suite orchestrale Impressions d’Italie (1887) fece espressa richiesta di un solo esecutore per utilizzare in successione due saxofoni. Quest’ultima è un’esperienza importante per la storia del saxofono e dei saxofonisti, in quanto l’uso successivo e alternato di più saxofoni da parte di uno stesso interprete è una caratteristica che diventerà piuttosto comune tra i saxofonisti, in particolar modo nel repertorio contemporaneo. Un’usanza che a tutt’ora è motivo di riflessioni importanti sia da parte degli interpreti che da parte dei compositori, coinvolgendo indirettamente anche aspetti organizzativi e di produzione. In orchestra questo costume è molto limitato, a vantaggio della musica stessa e degli interpreti, ma è un aspetto che può significare molto. Nel pensiero comune e soprattutto in conseguenza dell’uso del saxofono nella musica contemporanea, il saxofonista può essere considerato implicitamente un poli-strumentista, infatti i compositori chiedono allo stesso esecutore di utilizzare in uno stesso brano più saxofoni in successione e in alternanza per ampliare la tavolozza dei colori della stessa composizione, ma da un punto di vista strettamente tecnico e artistico l’interprete potrebbe volersi dedicare a un saxofono specifico, tra i quattro più comunemente impiegati (soprano, contralto, tenore, baritono) e eventualmente anche sopranino e basso. La tecnica di passare da uno strumento all’altro è quindi diffusa, ma va detto che ciascun saxofono ha caratteristiche e una tecnica specifica e si potrebbe tenere in considerazione la possibilità dell’interprete di dedicarsi soltanto a uno di essi, sia per vocazione personale che per rispondenza strettamente artistico-musicale. Nel repertorio contemporaneo dove abbondano composizioni di rilievo per saxofono solo, è diffusa la pratica di presentare programmi da concerto che richiedono saxofoni diversi in risposta all’esigenza strettamente musicale di disporre di una varietà di composizioni adeguata allo sviluppo di un concerto della durata usuale. Nel tempo sarà sicuramente possibile prevedere che il numero delle composizioni, in forte e costante aumento, possa permettere questa ipotesi, per cui un interprete possa dedicarsi esclusivamente a un solo tipo di saxofono. Nel repertorio orchestrale, come accennato poc’anzi, questo uso è strettamente circoscritto anche quando musicalmente l’organizzazione della partitura lo permetterebbe, un costume che riflette fortemente le esigenze legate alla produzione e all’organizzazione delle orchestre e dei teatri d’opera.
Il repertorio sinfonico in particolar modo e secondariamente quello operistico, vede tra i due secoli avvalersi sempre di più di uno o più saxofoni in orchestra, grazie a un costante apprezzamento del saxofono da parte dei compositori, come naturale prosecuzione dell’impulso dato allo strumento dallo stesso inventore e dai primissimi compositori, in particolar modo dal citato Berlioz. Vediamo quindi il saxofono o più saxofoni inseriti nell’organico orchestrale delle seguenti composizioni, Georges Bizet “L’Arlesienne” (1872), Modest Mussorgsky “Quadri di un’esposizione” (1874) grazie alla ben nota orchestrazione di Maurice Ravel (1922), Aaron Copland “Concerto per Pianoforte e Orchestra” (1927), Zoltàn Kodály “Háry János Suite” (1925-26), George Gershwin “I got Rhythm – Variazioni per orchestra” (1934), “Porgy and Bess” (1935), “Rhapsody in Blue” (1924), “An American in Paris” (1928), Alban Berg “ViolinKonzert” (1929), Krysztof Penderecki “De Natura Sonoris n.1” (1965-66), Benjamin Britten “Sinfonia da Requiem” (1940), “Our Hunting Fathers” (1936), Charles Ives “Symphony n.4” (1909-1916), Heitor Villa – Lobos “Urapurù” poema sinfonico (1917), Sergej Rachmaninov “Symphonic Dances” (1907), Aram Khachaturian “Gayaneh Ballet Suite” (1939), Maurice Ravel “Bolero” (1928), Richard Strauss “Sinfonia Domestica” (1903), Dimitri Shostakovich “The Age of Gold” (1930), Arnold Schoenberg “Von Heute auf Morgen” (1929), Alban Berg “Lulù” (1929-35), Sir William Walton “Facade” (1922), Belshazzar's Feast (1929-1931), Sergei Prokofiev “Alexander Nevsky” (1938), “Lieutenent KiJé” (1933), “Romeo e Giulietta” (1935-38). Nel citare compositori sempre più vicini ai nostri giorni, hanno usato uno o più saxofoni autori quali, Charles Koechlin, Bela Bartok, Igor Stravinsky, Arthur Honegger, Ralph Vaugham Williams, Lukas Foss, Luciano Berio, Frank Martin, Leonard Bernstein, Earle Brown, Luigi Dallapiccola, Charles Ives, Paul Hindemith, Aram Khatchaturian, Darius Milhaud, Krzystof Penderecki, Karlheinz Stockhausen, Heitor Villa-Lobos, Goffredo Petrassi, Luigi Dallapiccola, Henry Dutilleux, André Jolivet, Hans-Werner Henze, Pierre Boulez, Luciano Berio, Silvano Bussotti, Mauricio Kagel, Giacomo Manzoni, Franco Mannino, Hans Joachim Moser, Luigi Nono, Nino Rota, Roman Vlad, Marius Constant, Luis De Pablo, Mauricio Kagel, Jean Barraqué, Gian Francesco Malipiero.
Quanto illustrato poc’anzi rappresenta un quadro generale del repertorio per il saxofono in orchestra, una panoramica che ci dimostra che questo strumento è ormai pienamente accettato dai compositori, un risultato storico per la diffusione dello stesso repertorio e del saxofono come strumento d’orchestra sempre più richiesto e auspicabilmente strumento stabile in orchestra. A testimonianza di come il saxofono sia sempre più presente nelle orchestre relativamente ai programmi da concerto, al gusto del pubblico e alle scelte delle direzioni artistiche, vorrei riportare in questo articolo l’esperienza di due saxofonisti appartenenti a due diverse generazioni. Antonino Mòllica, giovane eccellente saxofonista, che si sta affermando a livello internazionale e Federico Mondelci, riconosciuto a livello mondiale come uno dei più grandi saxofonisti contemporanei, che svolge da decenni e fin dall’inizio della sua carriera un’attività concertistica nazionale e internazionale di grande prestigio.
Antonino Mòllica, ci illustra così le sue esperienze più significative, “Il contributo a questo scritto si basa sulla mia personale esperienza di saxofonista in orchestra, maturata negli anni collaborando con orchestre quali l’Orchestre de Paris, l’Orchestre National d’Ile de France e l’Orchestre Philarmonique de Monte-Carlo. La mia qualità di musicista aggiunto in orchestra mi ha permesso di poter scoprire delle partiture magnifiche nelle quali il saxofono è trattato con la stessa “dignità” degli altri strumenti, e di constatare come il saxofono possa non soltanto uscire dal coro con dei soli, ma anche amalgamarsi perfettamente, arricchendo l’impasto sonoro delle altre sezioni dell’orchestra. Il timbro ricco e cristallino del saxofono porta talvolta ad ispessire il fraseggio degli archi, come ad esempio a rinforzo dei violoncelli nella Sabre Dance di Katchaturian dove il saxofono ha una lunga frase all’unisono con i violoncelli, ma funge anche da perno tra le diverse sezioni, o addirittura in gruppi orchestrali come nella Sinfonia n.4 di Charles Ives, dove i saxofoni tenore e baritono, suonati in successione da un solo esecutore, non solo dialogano con i legni (è degno di nota un lungo passaggio nel quale il saxofono baritono si oppone poi si unisce al primo fagotto), ma servono anche da elemento legante i due gruppi orchestrali (con due direttori distinti) che formano l’organico originalissimo di questa composizione. Un caso a parte è quello del concerto per tromba e orchestra di Bernard Alois Zimmermann basato, seppur in una rivisitazione contemporanea, sul negro spiritual “Nobody knows”, dove l’utilizzo di cinque saxofoni è memore dell’esempio gershwiniano, ma il suo utilizzo nella scrittura orchestrale è più paragonabile a quello del quintetto d’archi che a quello degli altri fiati. Nella falsariga degli esempi precedenti, la favola musicale Piccolo Saxo et Cie del francese André Popp offre ancora un’altra maniera di scrivere per orchestra con la famiglia dei saxofoni. In questa favola musicale di Jean Brussolle, per la quale Popp firmo’ la musica, tutte le famiglie strumentali sono utilizzate inizialmente come gruppi separati, addirittura come fossero sconosciuti tra loro ma che vengono riuniti al termine di un viaggio iniziatico compiuto dai due protagonisti, Piccolo e Saxo, rispettivamente l’ottavino e il sax soprano, protagonisti di un’azione demiurgica che porterà alla nascita dell’orchestra sinfonica. Gli esempi poc’anzi riportati, che mi hanno dato l’opportunità di vivere dall’interno queste partiture, mostrano come oggi, la presenza del saxofono in orchestra esuli dal mero ruolo di cantore malinconico per evolversi come parte integrante della famiglia dei legni, dando altresì a quest’ultima un supplement d’ame che serve con brio a sfumare le opposizioni strumentali tipiche dell’orchestrazione classico-romantica e che meriterebbe un utilizzo più sistematico nella tavolozza dei colori orchestrali”.
Federico Mondelci, è una figura di riferimento internazionale che fin da giovanissimo ha intrapreso una carriera di assoluto prestigio. Ha iniziato a collaborare con l’orchestra della RAI di Torino, introdotto da Raffaele Annunziata, uno dei primi rappresentanti della storia del saxofono in Italia, che all’epoca (fine anni ’70) era clarinetto piccolo e saxofono dell’orchestra. L’incontro tra Raffaele Annunziata e Federico Mondelci avviene al Concorso Internazionale di Stresa nel 1978, dove quest’ultimo aveva ottenuto il I Premio assoluto sia nella categoria solisti che nella categoria musica da camera, nella quale si era presentato in formazione di quartetto di saxofoni. Raffaele Annunziata rimase molto colpito dalla sua esecuzione e lo invitò a collaborare con l’orchestra della Rai di Torino. Aggiungo che questo è un momento storico per la storia del saxofono e in particolare per la storia del saxofono in Italia, in quanto vediamo una sorta di passaggio di testimone generazionale certamente, ma soprattutto epocale, considerato che in questi anni e in particolar modo con Federico Mondelci il saxofono classico avrà un impulso eccezionale a livello di sviluppo musicale, tecnico e di divulgazione. Negli anni ’80 la programmazione delle orchestre istituzionali in genere e in primis le orchestre della Rai, avevano l’uso di eseguire frequentemente musica del ‘900 e musica contemporanea, in virtù anche delle regolari trasmissioni radiofoniche della Rai3 che trasmettevano in diretta i concerti in programma, a Torino in particolar modo, ogni venerdì. In questi anni Federico Mondelci ha collaborato con le più prestigiose orchestre, potendo eseguire le musiche di Krysztof Penderecki, dirette dal compositore stesso, Volo di notte di Luigi Dallapiccola, successivamente Luigi Nono, Luciano Berio nel Concerto per due pianoforti e orchestra, Richard Strauss sotto la direzione di Wolfgang Sawallisch e inoltre al teatro La Scala di Milano con Riccardo Muti e Georges Prêtre, nell’esecuzione di un nutrito repertorio del ‘900 storico con il saxofono in orchestra. Un evento in particolare è rappresentato dalla collaborazione con Michael Nyman, che lo stesso Mondelci ha diretto con l’Orchestra Teatro Massimo Bellini di Catania con in programma le composizioni dello stesso Nyman, “Musique à grande vitesse” commissionato dalla SNCF (Société Nationale des Chemins de Fer) e il suo Concerto per pianoforte e orchestra composto con il materiale delle sue musiche per il film Lezioni di Piano. Con le tante orchestre con le quali collaborava regolarmente (Opera di Roma, Rai di Milano, Rai di Torino, Orchestra Toscanini, e le ICO), Federico Mondelci ha eseguito anche musiche di Philippe Glass, Giacinto Scelsi, Henri Pousser, Darius Milhaud, Goffredo Petrassi. Pienamente assorbito dall’attività di solista, abbandona progressivamente le collaborazioni con le orchestre in qualità di professore d’orchestra nei primi anni’90. Dal nostro incontro, dedicato a questo articolo, nasce uno scambio molto ricco e diverse sono le riflessioni che Federico Mondelci mi trasmette. “In primis, il saxofono nella trasformazione dell’orchestra sinfonica avvenuta durante tutto l’800 avrebbe dovuto aggiungersi alle sezioni dei corni o dei legni, considerato che lo sviluppo dell’orchestra era sia legato alla possibilità di un suono più imponente, ma anche alla ricerca di nuovi colori. Da evidenziare inoltre che gli stessi archi hanno sviluppato nel tempo e in particolar modo nel secolo in questione le loro capacità sonore e timbriche attuali. Il saxofono arriva quindi in un momento dove le principali evoluzioni dell’organico dell’orchestra sinfonica sono avvenute e probabilmente, se fosse nato pochi decenni prima quando ancora era in vita Beethoven, forse il saxofono poteva entrare a far parte di quella grande trasformazione dell’orchestra sinfonica che inizia tra il tardo classicismo e gli albori del romanticismo. Probabilmente abbiamo i primi saxofonisti di livello adeguato a cavallo tra i due secoli, quando il tempo ha dato la possibilità al saxofono di diffondersi abbastanza perché potesse nascere una generazione di esecutori preparati, partendo dal presupposto che la stessa idea e tecnica del saxofono andava conformandosi e sviluppandosi con gli anni, a partire dalle prime esperienze del tutto sperimentali. Un aspetto importante da considerare inoltre, è che negli anni la programmazione concertistica si è spostata sempre di più verso il passato, verso appunto quel repertorio dove il saxofono non era ancora così presente. E’ un costume del nostro tempo avere programmazioni molto rivolte al passato, quando fino ai primi del ‘900 le nuove composizioni sinfoniche e le nuove opere erano molto presenti nel repertorio delle orchestre”.
Andando verso la conclusione di questo percorso nella storia e nel presente del saxofono nell’orchestra sinfonica, è sicuramente possibile affermare che il saxofono è uno strumento dotato di grandi qualità timbriche ed espressive e i compositori ne hanno saldamente compreso le risorse. E’ probabilmente il risultato migliore che ci si potesse auspicare, tenuto conto come l’evoluzione della storia della musica possa in tal senso confermare che l’inserimento pieno del saxofono nell’orchestra sinfonica sia probabilmente soltanto una questione di tempo. Il repertorio che viene programmato dalle orchestre, dai teatri e dai festival, resta comunque un elemento fondamentale considerato che i programmi di sala sono sovente il risultato di molteplici aspetti che concorrono alle scelte delle composizioni che li compongono.
Ringrazio sentitamente Antonino Mòllica e Federico Mondelci per i loro preziosi contributi, avendo potuto condividere insieme un tempo di grande valore umano e artistico sulla scia di quell’entusiasmo, preziosa eredità di Adolphe Sax, al quale va il merito di aver dato alla musica del passato e soprattutto del futuro un mezzo espressivo che fin dalla sua creazione si è rivelato eccezionalmente musicale.
Paris, Dicembre 2023
Massimiliano DONNINELLI
https://www.massimilianodonninelli.com/
![]() |
Il Saxofono nell’orchestra sinfonica di MASSIMILIANO DONNINELLI https://ainsiparlaitlart.blogspot.com https://ainsiparlaitlart.blogspot.com |
Commentaires